Di recente leggendo Marcel Proust ho trovato alcune frasi dedicate al tempo che, per l'antologica di Franco Pin, vanno a... pennello. Ne ho appuntate alcune che mi sono particolarmente sembrate incisive ed efficaci. Una dice: "Il tempo di cui disponiamo ogni giorno è elastico. Le passioni che proviamo lo dilatano, quelle che ispiriamo lo restringono, e l'abitudine lo riempie".
La seconda, altrettanto valida, sostiene che "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi".
Vedere le cose in maniera personale e interpretarle per un pittore dovrebbe essere la prima spinta della sua creatività. Addirittura, se dentro ci mette il suo vissuto, interiorizza e personalizza quei racconti.
Il viaggio per un "comunicatore" è sempre motivo di nuove sensazioni ed emozioni che poi, vengono trasmesse perché la voglia di comunicare nasce prima di tutto dalla propria curiosità e poi dal bisogno di dire agli altri quello che per lui è diventato ovvio e che, magari, qualcuno non riesce a vedere.
La pittura è anche questo, il far vedere ad altri, con "occhi nuovi" , il mondo.
Il viaggio è anche una evoluzione nella pittura di un artista, un continuare nella maturazione, nello stile, nell’espressione, nel dare ai propri quadri un'atmosfera sempre nuova senza mai abbandonare del tutto quelli che sono stati, all'inizio, la sua capacità e il suo modo di vedere quanto lo circonda e oltre.
Franco Pin con il suo dire pittorico e con un ipotetico viaggio racconta una storia, tante storie.
Una storia che affronta temi sociali, si misura con affetti, si immerge nelle atmosfere di, una non sempre facile quotidianità, vive intense e intime emozioni, fa i conti con esistenziali momenti vissuti in compagnia di se stesso.
Ogni volta che vengo messo di fronte ad una serie di quadri che, prima di tutto, sono dei veri e propri capitoli di una vita, quella di un altro, sono colto da una serie di contrastanti riflessioni sul modo dell'artista di seguire un suo personale e unico percorso che è un vero e proprio viaggio dove l'arte è lo strumento indagatore e comunicatore della sua realtà, delle fantasie, delle invenzioni e anche delle provocazioni. Tutto questo è espresso da Pin con una realtà in movimento dove spazi, impressioni e impronte, segni e cromatismi sono frutto di un percorso coerente. Coerente prima di tutto con se stesso.
Una pittura, quella di Pin, in continua evoluzione perché i suoi "racconti" sono dettati da spontanee e incalzanti avventure, da frammenti di storie, di luoghi, di colori, di silenzi, di suoni e rumori che lui ha assimilato nel tempo, mescolandoli per creare le sue opere, per dare qualche nuova immagine, per ritrarre persone che, dalle tele, trasmettono la loro personalità. Un esempio più che calzante è l'inquietante ritratto di Pier Paolo Pasolini in cui Pin ha fatto risaltare gli occhi del poeta attraverso cui si può leggere chiaramente la sua tormentata anima.
Il passato di Pin, operaio metalmeccanico, militante e convinto politico che si definisce 'l’ultimo comunista ", dà all'artista, autodidatta, una matrice ben definita che emerge in tutta la sua prolifica produzione, dal figurativo all'informale, dagli acrilici di ultima fattura alle "carte" che esprimono, con i loro accesi colori, la sintesi.
Cinquant'anni non sono passati invano perché da quel timido e balbettante inizio, l'arrivo ha la sua impronta e personale definizione.
Palmanova, 1 ottobre 2010
Silvano Bertossi, giornalista autore di varie pubblicazioni dedicate a Palmanova, sua città natale. Ricordiamo: Palmanova, con affetto, Quattrocento anni di vita economica e sociale a Palmanova, Palmanova, fortezza d'Europa, La storia di Palmanova. I suoi interessi giornalistici spaziano in vari campi, principalmente quelli culturali, legati all'identità del popolo friulano. E' segretario della Commissione culturale dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti.
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I dipinti di Franco Pin sono “segnati”, graffiati, come lo è stato ed è il suo modo di vivere. Catapultato precocemente nel mondo del lavoro operaio e dove l’amore a pochi denari sfilava sotto gli occhi di un ragazzo degli anni Cinquanta, le domande sul senso dell’esistenza hanno fatto irruzione molto presto nel suo immaginario. Radicale, senza mezze misure, se non quelle necessarie per permettere anche all’immaginario dell’osservatore di aprirsi per dialogare con il suo, per sintonia o per contrasto. Le figure grandi, grigie e simboliche, ma che vogliono a tutti i costi mantenere un contatto con la tradizione mimetica, perché garanzia di concreta verità, sono paradigmi dei comportamenti, osservati nei loro contesti specifici e contemporaneamente astratti sul teatro della tela: l’uomo e la sua dignità, come premessa alle diverse occupazioni materiali nelle quali corre il pericolo di identificarsi, annullando se stesso; la donna, amante e madre, ma anche musa e dea a cui la natura ha concesso di tessere o spezzare il filo della vita e dell’amore; la voce degli intellettuali, tramite la quale passano i processi di cambiamento della collettività, prima ancora che essa ne prenda coscienza.
A metà del decennio appena trascorso, l’incontro con un gruppo di pittori a Barcellona segna un passo nella sua evoluzione artistica, che evolverà in un’anima parallela, coltivata simultaneamente. Dapprima abbacinato dal potere del colore iberico, lo trasfonde poi nella forme sue da sempre e nei contesti che le ospitano, i paesaggi naturali e urbani. I contorni severi iniziano a scomparire per lasciare spazio a forme più sintetiche, dove il confine tra esse diventa più labile e giustificato solo dalle reciproche presenze. Qui i temi classici trovano riposo, in una dimensione quasi superiore, dove si apre la ricerca delle regole su cui si basano le tensioni interiori che sembrano continuamente minacciare l’equilibrio nella quotidianità, concedendo loro di avere un senso, naturale e laico, al di là se stesse. [Dalla rivista d'arte"E:ikon"]
Udine 2010
Lorena Zanusso: collaboratrice redazionale della rivista d'arte "E:ikon" e del bimestrale di critica e d'informazione delle arti visive "ArteIn" e curatrice di diverse esposizioni temporanee di artisti viventi
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C'è una seduzione del mondo di ieri nei dipinti di Pin. Nelle occhiaie nere, nelle teste senza sembianti, si sprigiona la coerenza di una alienazione operaia che cerca di trovare la compensazione nella sagra sessuale, nella rotondità delle forme femminili e maschili. L'uomo con l'ombrello è solo, di spalle e l'ombrello rosso non è un ombrello, è una conchiglia, rossa, femminea.
La rotondità dei tafanari non si coniuga con le spalle strette degli operai, l'artista raffigura operai macilenti, deboli, dalle spalle strette e dalle teste rachitiche. Non c'è gioia, solo rassegnazione e passività così come nei corpi nudi non c'è gioia, né promessa di piacere, ma solo fissità.
E' un mondo di persone immote quello di Pin, un mondo in cui sono cadute le speranze di una nuova umanità, non a caso il suo Pasolini è tagliato, girato, lontano dalla gente della migliore gioventù friulana che tanto ha amato. Adamo ed Eva sono del pari voltati e non c'è nulla intorno a loro: non c'è un paradiso, un luogo delle delizie, ma solo un Adamo dai glutei cascanti, a significare che la bellezza anche lì è stata esclusa, nessun turbinio di colori, solo un uomo e una donna senza volto. Raramente artisti contemporanei hanno saputo rappresentare la crisi dell'esistenza umana così priva di uscita come Franco Pin.
San Daniele del Friuli 2009
Paolo Gaspari: Libraio e autore. Tra le sue opere: Il sogno friulano di Pasolini. La vera storia de «I giorni del lodo De Gasperi» a S. Vito al Tagliamento, Generali nella nebbia, I nemici di Rommel, Le termopili italiane. La battaglia di Cividale del 27 ottobre 1917, La fine del mondo contadino in Friuli , La battaglia dei capitani. Udine: la battaglia urbana della grande guerra, Le lotte del Cormôr. Un garbato sciopero simbolico, La battaglia del Tagliamento, Le lotte agrarie in Veneto, Friuli e Pianura padana dopo la grande guerra, Grande guerra e ribellione contadina.
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L’artista è colui che guarda il mondo e ce lo “racconta” attraverso la trasfigurazione della sua arte, mediante l’interpretazione del suo personalissimo punto di vista. E l’arte di Franco Pin non fa eccezione. Le sue opere ci parlano di uomini e di donne, di guerre, di sofferenze, di lavoro dignitoso e nobile, ci parlano pure dell’orgoglio di vivere e della dignità della morte. Dalle sue tele escono figure essenziali, cariche, cariche di drammatica realtà, eppure solo accennate con pennellate decise e intense di colori forti, comunque immagini capaci di penetrare nel pensiero e nel cuore di chi guarda.
È dunque con grande piacere e soddisfazione che ospitiamo nella nostra città l’opera di un pittore genuino e autentico come Franco Pin.
Cormons 2008
Prof. Luciano Patat (Sindaco di Cormons, autore dei testi storici Percorsi della memoria civile, Agli ordini del duce, Il Cotonificio triestino, Giuseppe Tuntar, Il Friuli orientale fra le due guerre, Fra Austria e Italia, Mario Fantini "Sasso”)
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Se ogni artista vive una doppia vita, il pittore che viola il bianco della tela segna lo schiudersi di una rinascita. L’opera è una vita parallela. Ma all’origine di questa, come nella più ordinaria delle esistenze, c’è un momento cruciale: ad un certo punto, quasi ineluttabilmente, viene il momento di dire «io».
Questo passaggio segna la maturazione di ogni individuo, ma assume un valore centrale in quella tradizione che, forte di uno spiccato autobiografismo, contraddistingue la cultura storica della sinistra. Gli esempi sono numerosi. Breton sognava una casa di vetro dove la vita si mostrasse nella sua trasparenza. Éluard contrapponeva allo scetticismo e all’ironia il valore della Vita. E Pablo Neruda, con una franchezza che non cercava né assoluzioni né autoassoluzioni, confessava al mondo di avere vissuto.
Ebbene, confessare di avere vissuto è il desiderio inconfessato di questo Viaggio di Franco Pin. Il pittore progetta le proprie personali come fossero un racconto, con un inizio, uno sviluppo e una conclusione. E se in una precedente esposizione aveva scelto di privilegiare la storia collettiva delle lotte operaie, qui adotta un registro più intimo, più autobiografico e personale.
Il viaggio dell’uomo prende avvio sotto il fragile riparo di un ombrello rosso, simbolo di una cultura – quella comunista – che un tempo creava appartenenza. Ma oggi, dopo decenni di lotte, tutto si annacqua in un «grigio diluvio democratico». L’itinerario inizia in solitudine, nelle nebbie dell’incertezza. E in solitudine si conclude, con una valigia che sembra il bagaglio di un emigrante ma che in realtà è il bagaglio di chi, stanco di troppe cose, emigra col pensiero e manda in malora ciò che non gli piace più. La solitudine è dunque politica, frutto di un percorso coerente («Sono l’ultimo comunista», azzarda Pin), ma è anche una condizione esistenziale: il viaggio di Pin è un viaggio nell’universo femminile, sicché il protagonista, come lo Snaporaz felliniano, si trova, all’inizio e alla fine, solo e isolato.
Il pittore getta lo sguardo sul mistero della donna, sulle forme – fisiche e culturali – che popolano l’immaginario maschile, avanzando lungo una linea contrassegnata da una impenetrabilità sempre più densa: l’amore a poco prezzo, l’incontro, la perdita, la tristezza post coitum, l’amore coniugale, l’amore saffico, la maternità. Il percorso, ad un certo punto, è intervallato da un manifesto di poetica: il pittore che, ispirato dalla musa, cerca la propria strada abbandonando la tradizione.
Ma in questo viaggio segnato dal faticoso diritto di dire «io» notiamo una costante: la sicurezza dello sguardo maschile si associa a una rappresentazione del maschio umiliata e depressa. La donna dà la vita e la toglie. È – insieme – la madre e la Parca. Mentre l’uomo è sempre in ombra o di spalle. Non c’è luce nel suo sguardo.
Non c’è forza nel suo gesto. La sua postura è la postura dello sconfitto; e la contrapposizione che ne deriva ricorda una frase di Fellini: «La donna è stata per secoli quello che noi uomini volevamo che fosse. Ce la inventavamo noi: angelo del focolare, oppure bella e perversa, oppure casta sorella, oppure amazzone volitiva, oppure puttana. Noi, sempre noi. Ora avviene che le donne rifiutano le nostre proiezioni, non sanno che farsene». Cosa può fare allora chi si ostina ad indagare il cosmo femminile? Inseguire il mito di una rappresentazione androgina, né maschile né femminile ma compenetrata da entrambe le essenze? Oppure accettare fino all’estrema conseguenza i limiti di uno sguardo univocamente sessuato? Il senso di questo viaggio si colloca a un crocevia, posto tra la crisi immedicabile di un’utopia politica e un cambiamento culturale secondo il quale, dopo secoli di silenzio forzato, la donna non è più solo proiezione dello sguardo maschile ma portatrice di uno sguardo indipendente. Il risultato è un paradosso. Lo sguardo che dipinge è uno sguardo maschile.
Ma nei quadri di Pin le donne sono le uniche ad avere occhi. È un’impasse senza scampo? Forse no, perché dalla rappresentazione di uno scacco vissuto fino in fondo può sorgere un nuovo mondo: il cielo luminoso che, nel quadro plumbeo che chiude il Viaggio, si apre alla speranza di un rinnovamento culturale, quasi di una rivoluzione.
Udine 2007
Alessandro Dose
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Raccontarsi. C'è una dimensione in cui la vita di una persona si incontra con quella di altri e il racconto di sé crea emozioni in coloro che ascoltano, o leggono, o guardano.
Attraverso i suoi quadri Franco si racconta, rappresenta fatti, emozioni e ci trasmette la sua visione del mondo. In queste figure, in questi colori, la sua vita interseca non solo quella di altri individui, ma anche quella collettiva, la storia. La storia di tutti, ma soprattutto di quella classe che qualcuno vorrebbe fosse ormai morta e che attraverso i quadri di Franco vediamo invece rapportarsi con la poesia, con la filosofia... e ancora, come sempre, con la lotta. Epicuro letto da un operaio assume una forza inusitata, un proverbio di antica saggezza cinese diventa ironia tagliente, Pascoli appare di colpo attuale, Neruda e Achmatova sembrano aver scritto per commentare proprio la strada o la città ferita.
Molteplicità di temi, varietà di sentimenti, intensità di emozioni, in quel territorio magico e particolare in cui individualità e socialità si incontrano, si intersecano assumendo reciprocamente significato. Nei quadri di Franco l'individualità si innesta nella comunità, si alimenta di socialità e a sua volta la alimenta, nella consapevolezza che individuo e società non sono contrapposti o alternativi e che la liberta, la capacità di espressione individuale poggiano marxianamente sul lavoro sociale.
In Pin c'è l'orgoglio di essere operaio, la consapevolezza che questa situazione esistenziale lo ha forgiato, ma non costituisce l'unico aspetto della sua personalità, si coniuga con tante altri interessi e stimoli e componenti della vita: un uomo a più dimensioni.
Dai temi di questi quadri, dalla forza delle forme e dei colori e anche dalle brevi frasi che Franco ha scelto a commento, emerge soprattutto quanto poco veritiero sia l'atteggiamento minimalista che vorrebbe che tutti gli ideali siano morti: l'azzurro intenso degli iris accanto al pugno chiuso di Carlo Giuliani sono la più esaltante sintesi degli infiniti piani della sensibilità di un militante operaio passato attraverso tutti gli alti e i bassi dell'impegno politico e sociale, ma rimasto sempre vigile e attento, ancora protagonista nel raccontare la sua classe.
Allungo la mano per toccare la tela, e la sento ruvida nella matericità delle sabbie che contiene, ruvidità della vita, scabrosità della storia, ma anche natura da graffiare, da incidere con i nomi di battaglia, i soprannomi, di gente vera che ha saputo vivere tutte le dimensioni della vita, del lavoro, della guerra, dell'amore.
Nel centro: la fornace. Non solo luogo in cui si fanno i mattoni di argilla, ma in cui si creano relazioni, mattoni di socialità. Gli operai della fornace, tutti partigiani, artefici della propria storia, stravolti dalla fatica, ma anche dalla rabbia, e poi le donne lavoratrici che Franco ha conosciuto, evocate una per una, i loro nomi graffiati nel colore, percorrono anche nella loro individualità i decenni fino ad arrivare a Genova, immagine più recente, ma non ultima della Lotta, che continua e che attraversa il tempo e le esistenze, almeno fino a quando non avremo eliminato, per tutti, l'ingiustizia.
Sullo sfondo, ma sempre vicini, gli amici, l'osteria, i ricordi. Passi lungo il verde del fiume.
Udine, 21 luglio 2004
Alessandra Kersevan (Ricercatrice storica, nel 1995 ha pubblicato Porzûs. Dialoghi sopra un processo da rifare, studio su una delle più controverse vicende della Resistenza italiana; nel 2003 ha svolto per conto del Comune di Gonars una ricerca sul campo di concentramento istituito in quel paese.Nel 2005, per conto della Commissione europea e del Comune di Gonars, è stata autrice del documentario The Gonars Memorial 1942-1943: il simbolo della memoria italiana perduta. È coordinatrice della collana Resistenzastorica delle edizioni Kappa Vu)